Quinta domenica di Quaresima - 29 Marzo 2020

 

cover seconda domenica quaresima 2020

Quinta Domenica di Quaresima  - Gv  11,1-45 - Il pianto di Gesù Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà

Le parole dei protagonisti

Racconta Lazzaro:

Quello che ho vissuto io è davvero straordinario. Sono tornato a vivere dopo essere stato sepolto! Ed è questo quello che tanti si ricordano di me, anche se Giovanni raccontando la mia storia non lo ha messo in evidenza, ma piuttosto ha spiegato l’armonia della nostra amicizia. Voi adesso usate abbondantemente questa parola, addirittura avete la possibilità di richiedere e rifiutare l’amicizia, ma io ero davvero un amico di Gesù e lui lo era per me e per le mie sorelle Marta e Maria.

Poi la morte, la mia. Quando è arrivato Gesù il funerale era finito, mia sorella Marta gli è andata subito incontro, era rimasta un po’ male per quel ritardo; lei lo aveva avvisato in tempo, appena mi ero ammalato, tanto che lo rimprovera pure! Marta ha fiducia in Lui che tutto può, ma è rammaricata perché non ha fatto ciò che lei sperava.

A volte capita di non comprendere i Suoi piani e mia sorella va verso di Lui cercando un aiuto, ma quello che chiede Gesù è una soluzione a cui non aveva proprio pensato. «Togliete la pietra». Lui le parla di risurrezione, ma non parla della risurrezione, dice «Io sono la risurrezione e la vita». Praticamente Gesù le dice che è Dio. Probabilmente Marta era abbastanza confusa e Gesù allora le spiegava che credere in Lui è più forte della morte. Ed è la preghiera che serve per imparare a credere. Credere in Lui fa vivere anche se si è morti, anzi non fa morire proprio!

 

 

Dalle parole alla testimonianza

CHIARA CORBELLA PETRILLO

Il 21 settembre 2018 con l’inizio della causa di beatificazione di Chiara Corbella Petrillo il mondo ha assistito a un pezzo di storia di una santità che brilla. Chiara, la “santa della porta accanto” come l’ha definita il cardinale vicario Angelo De Donatis durante la cerimonia di inizio della fase diocesana avvenuta nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Era da un po' che non capitava nella cattedrale di Roma e l’ultima volta il processo riguardava un Papa, Giovanni Paolo II. Il Papa che ha accompagnato la vita di Chiara mentre adesso è lei ad accompagnare quella di tante persone, di tanti giovani. Chiara, Serva di Dio, morta per un tumore a 28 anni il 13 giugno 2012, dopo aver salutato uno ad uno parenti e amici, e dicendo a tutti «Ti voglio bene».

Chiara, giovane, sposa e madre. Una donna innamorata del suo Enrico, incontrato a Medjugorje nonostante fossero entrambi romani. Una sposa che ha vissuto il fidanzamento come vero discernimento di grazia e perciò non privo di difficoltà. Una moglie in “attesa” e non solo col pancione, in attesa che Dio compisse il Suo disegno anche attraverso i suoi due primi figli che l’hanno portata all'incontro con la vita, la croce e la luce. Maria Grazia Letizia e Davide Giovanni, nati ad un anno di distanza, moriranno entrambi mezz’ora dopo la nascita per gravi malformazioni, quasi come fosse un terribile copione, ma che Chiara vive come esperienze cariche di Dio e accoglie la Sua volontà portando a termine le gravidanze nonostante l’incompatibilità dei bambini con la vita terrena. Dirà: «Qualsiasi cosa farai avrà senso solo se la vedrai in funzione della vita eterna». Chiara e Enrico non si chiudono però alla vita e arriva Francesco, ma arriva anche la malattia durante la sua terza gravidanza portata volutamente a termine rimandando le cure che avrebbero compromesso la vita del figlio nonostante per molti fosse solo un feto di qualche mese. Francesco ora è un bellissimo bambino di 8 anni, che si inchina davanti la foto della mamma che ha avuto la capacità di mettere Gesù al centro di ogni scelta e “seguirlo quale sposa e madre con fiducia incrollabile sulla via della Croce”, come riporta la preghiera autorizzata dalla Chiesa in cui si chiede la sua intercessione.

Per saperne di più:

  • Siamo nati e non moriremo mai più – Storia di Chiara Corbella Petrillo 

Di SIMONE TROISI e CRISTIANA PACCINI– Edizioni Porziuncola - € 13

La vicenda di Chiara, di suo marito Enrico e del loro figlio Francesco (come anche di altri due fratellini già in Cielo), ha sorpreso migliaia di persone in tutta Italia e si è diffusa rapidamente su Internet e sui mezzi di comunicazione. Può la storia di una donna morta giovanissima testimoniare che la vita è un dono meraviglioso? Che seguire Cristo anche nella sofferenza ci apre alla luce? Queste pagine raccontano la storia di Chiara, con le sue parole e i ricordi di chi l'ha conosciuta e ne ha condiviso la profonda esperienza di fede: un'esistenza che non si è arresa di fronte alla morte fino a diventare un segno di speranza per tutti noi.

  • Roberto Corbella, papà della Serva di Dio racconta la figlia su Tv2000:

 

 

Dalle parole alla mappa

Ai piedi della montagna dell’Aspromonte è nata più di vent’anni fa quella che continua ad essere una delle più grandi e belle realtà sociali della nostra diocesi che quotidianamente traduce il Vangelo in fatti concreti. È la Casa Famiglia per malati di AIDS di Castellace.

Gli ospiti della Casa sono persone che hanno alle loro spalle storie di tossicodipendenza, furti, carcere, prostituzione, violenza, ma soprattutto tanta mancanza d’amore. Amore che nella Casa ricevono da chi dentro vi opera, non considerando i malati come resti di vite distrutte dall’AIDS, ma ridonando ai loro volti un sorriso ed ai loro cuori una speranza.

Il servizio con le persone affette da Hiv richiede attenzioni in più, ma la domanda di tenerezza è la stessa di chi vive nella sofferenza: hanno bisogno di un amore che curi le loro ferite, quelle di chi vive tra i pregiudizi, allontanato da tutti. Sono persone che hanno contratto l’HIV ma non hanno perso il diritto di poter vivere integrati nella società e tutto il personale della Casa quotidianamente lavora affinché ciascuno possa vivere una vita per quanto possibile “normale”, riacquistando la propria dignità di essere umano.

Per saperne di più:

La Casa Famiglia nasce agli inizi degli anni novanta quando don Pino De Masi, allora direttore della Caritas diocesana, rimase profondamente scosso dalla morte di un giovane che egli aveva, da lì l’idea della Casa di Accoglienza inaugurata come Casa Famiglia il 27 aprile del 1996, mentre la prima ospite, Francesca, è stata accolta il 7 febbraio 1997.

«Don Bruno Cocolo ha nutrito un amore profondo per tutti gli ospiti che sono stati accolti, persone che avevano come unica possibilità la strada, che vent’anni fa voleva dire morire abbandonati in qualche angolo buio – racconta don Emanuele Leuzzi, parroco di Delianuova e successore di don Bruno anche nel ruolo di Presidente dell’Ente Morale Famiglia Germanò di cui fa parte la Casa di Castellace, insieme al Centro di riabilitazione ambulatoriale e a ciclo diurno per disabili di Oppido Mamertina, alla RSA “don Loria” di Tresilico e alla Casa di riposo “San Fantino” di Lubrichi –  lui infatti ha scelto da sempre gli ultimi da amare, i poveri, gli emarginati, quelli che nessuno vuole! In quegli anni l’Aids era all’apice della sua diffusione ed erano in tanti ad averne paura ma don Bruno non ha mai avuto paura di niente, nemmeno di abbracciare o baciare gli ospiti della Casa, uomini e donne che ha amato profondamente come figli ed ai quali si è donato completamente».


casa castellace andra tutto bene

I ragazzi della Casa di Castellace sono vicini a tutti coloro colpiti dal COVID 19

 

 

La vignetta di Gioba

gioba settimana 4

Nel web fra le tante parole mi impegno...

Gesù, Lazzaro, Marta e Maria erano veri amici. Non numeri, followers, seguaci, ma amici. Nel web fra le tante parole mi impegno…

  • A coltivare e crescere qualche amicizia, scrivendo a uno o più amici una bella lettera per esprimere quel “grazie” che spesso tralasciamo. Soprattutto in questo momento in cui non abbiamo la possibilità di incontrarci.
  • A diventare amico delle persone “rifiutate” dagli altri per incoraggiarle e come Gesù provare a dire: “Tira fuori la tua vita!”.
  • A controllare i blocchi social che ho inserito chiudendo definitivamente la porta anche al perdono.

 

 

Un gesto che regge la Parola

Spesso è difficile parlare della morte. Molti per difendersi fanno scongiuri e battute perché hanno paura di affrontare seriamente il discorso. Molti genitori quando muore un nonno non hanno il coraggio di dirlo ai bambini e raccontano tante bugie cercando di evitare un dolore, ma la morte è concreta, certa per ciascuno di noi, sfuggirvi non aiuta a crescere. In questa settimana fermiamoci a leggere anche solo i nomi dei tanti morti di Coronavirus, che muoiono nella crudeltà della solitudine e appena potremo facciamo visita al cimitero, osserviamo le loro foto dei defunti. Guardare la morte è scoprire la verità della morte, è cogliere il segreto della vita.

 

 

Pregare la Parola

Credi tu questo? 

Rit. [1] Chi ci separerà dal suo Amore/ la tribolazione forse la spada /né morte o vita ci separerà / dall’Amore in Cristo Signore.

Dio, Signore Gesù, anche quando credo Tu sia lontano da me… ci sei.

Non mi lasci mai e nella Tua economia non sprechi nemmeno una lacrima del mio dolore.

Sei Tu che chiamandomi per nome mi vieni a cercare nella mia solitudine e nelle mie sconfitte e non solo per piangere con me, ma per gridarmi: “Vieni fuori!”.

Tu, Signore della vita, che mi fai sentire prezioso ai tuoi occhi,

insegnami ad amare perché si muore pure restando in vita;

aiutami a rinascere a vita nuova,

per tornare ad abitare nella gioia della Tua amicizia.

Rit. Chi ci separerà dal suo Amore/ la tribolazione forse la spada /né morte o vita ci separerà / dall’Amore in Cristo Signore.

 

  

Libro consigliato

Qui ho conosciuto purgatorio, inferno e paradiso. La storia del prete che ha sfidato la ‘ndrangheta di Giacomo Panizza con Goffredo Fofi - Feltrinelli Editore, 2011 - € 15 

In questo interessante libro intervista di Goffredo Fofi, leggiamo la storia di Don Giacomo Panizza, sacerdote bresciano, che nel 2002 ha rilevato una costruzione strappata alla ‘ndrangheta e vi ha posto un centro di lavoro per disabili, meglio conosciuto come Progetto Sud, ma assieme alla nuova speranza per quei ragazzi, vengono le minacce. Oggi Don Giacomo vive ancora sotto scorta.

Mi ha cambiato la Calabria, le sue povertà e le sue ricchezze, i suoi pericoli e le sue opportunità, i suoi schemi di pensiero espressi e quelli a me incomprensibili, la sua storia e la sua geografia… Da qui ho vissuto il mondo, non solo ciò che chiamano periferia”.

Per saperne di più:

Prima di andare a Vieni via con me ospite di Roberto Saviano, pochi conoscevano il coraggio e l'impegno di questo prete anti-'ndrangheta. Si chiama don Giacomo Panizza e la sua storia è stata raccontata davanti a milioni di italiani. Bresciano di origine, don Giacomo Panizza si trova assegnato nel quartiere più estremo di Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro. Qui inizia a lavorare a contatto con persone disabili. Accetta di utilizzare a scopi sociali un palazzo requisito ai Torcasio, la famiglia malavitosa più temuta della zona. Non solo lo stabile assegnatogli dista pochi metri dalle abitazioni dei mafiosi a cui è stato sequestrato, ma ogni volta che deve accedere alla struttura deve bussare proprio a loro. Don Giacomo Panizza ha ricevuto molte minacce, la sede è stata più volte danneggiata, qualcuno addirittura è arrivato a sabotare i freni dell'auto di un disabile. Ma don Giacomo non ha mai smesso di metterci coraggio e lottare. In questo dialogo serrato con Goffredo Fofi, non solo emergono la fibra morale di un uomo che si è dedicato ai più deboli della società, ma anche soluzioni concrete per battere la cultura della mafia: "Bisogna che tanti facciano poco, più che pochi facciano molto. Contro le mafie non serve Rambo. Serve che tutti ci impegniamo per la libertà di tutti, e la legalità è cosa nostra, un tassello di questo impegno". Solo così il Sud potrà sprigionare pienamente la propria bellezza.

 

 

Brano da ascoltare

Che vita meravigliosa di Diodato ℗ Carosello Records

Diodato, il vincitore dell’ultimo Festival di Sanremo, ha anticipato il suo nuovo lavoro discografico con un brano che dà il titolo all’album che contiene anche il pezzo con il quale ha partecipato e vinto la settantesima edizione del Festival della Canzone Italiana. Si intitola Che vita meravigliosa ed è il brano manifesto di questo album omonimo, inno alla vita, alla gioia e ai dolori che accomunano gli esseri umani. Il brano si apre con un potente intro e vocativo caratterizzato dal suono dei cori e dei fiati. La voce di Diodato si delinea lieve e delicata, e si diffonde dolcemente in una strofa incalzante, caratterizzata da un costante crescendo di immagini che si susseguono e intrecciano ad un arrangiamento dalle sonorità profonde, fatto di tamburi, chitarre acustiche e piccoli elementi ritmici. Nell’inciso il significato del brano si palesa con forza, trasformandosi e prendendo la forma definitiva di un tributo armonico a questa vita meravigliosa, dolorosa sì, ma fortemente seducente, miracolosa. È il canto di un essere umano disperso nel mare esistenziale, tra le sue onde, tra canti di sirene, alla ricerca di porti sicuri, pezzi di terra su cui fermarsi anche solo per un attimo, prima di abbandonarsi al folle desiderio di riprendere il proprio viaggio. È un romantico tributo alla vita, in tutte le sue sfaccettature e declinazioni.

Per saperne di più:

Il brano fa parte della colonna sonora del nuovo film di Ferzan Ozpetek “La Dea Fortuna”, acclamato da pubblico e critica, in sala dallo scorso dicembre.

 

 

Film da vedere

La stanza del figlio è un film del 2001 diretto da Nanni Moretti, ed è la storia di una famiglia e dei rapporti tra i suoi componenti, al cui centro si pone il tema della morte e del profondo dolore che solo la perdita di un figlio può provocare. Durata 90 minuti. 

Giovanni è uno psicoanalista, ha una moglie, Paola, e due figli adolescenti: Irene e Andrea. La vita scorre tranquilla, turbata solo da una ragazzata commessa da Andrea: il furto di un'ammonite nel piccolo museo scolastico. Come ogni domenica, Giovanni va a correre e convince Andrea ad andare con lui. Una telefonata urgente di un paziente cambia però i loro programmi. Andrea, essendo un subacqueo, ne approfitta per andare a fare immersioni, ma ha un incidente e annega. La sua morte trascina tutta la famiglia in un profondo dolore, tra il tormento, la disperazione, il senso di colpa e la rabbia.
Giovanni ritiene Oscar colpevole della perdita del figlio, perché se non lo avesse chiamato quel giorno, lui non sarebbe andato al mare. Paola invece piange tutte le lacrime che ha e Irene sfoga la sua rabbia contro i compagni.

Un giorno arriva una lettera indirizzata ad Andrea da parte di Arianna, un amore estivo del ragazzo, che però non sa della scomparsa. Paola chiede alla giovane d'incontrarsi e lei arriva portando con sé una foto che Andrea le aveva regalato, che lo ritrae nella sua stanza, ora chiusa per sempre. Sarà proprio partendo da questo inatteso contatto che la vita della famiglia potrà rimettersi in moto.

Per saperne di più:

Il film ha ricevuto due David (uno a Laura Morante come miglior attrice protagonista e uno a Nicola Piovani per le musiche), una Palma d’Oro a Cannes per il miglior film e un Nastro d’Argento a Nanni Moretti per la regia.

 

1 Il ritornello proposto nella preghiera è tratto dal brano Chi ci separerà di Marco Frisina contenuto nell’album Chi ci separerà dall’amore di Cristo? - ℗ Audiovisivi San Paolo edizioni musicali e discografiche.

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